Numero 17 | Gennaio 2024
USA vs Europa: due modelli a confronto
Qual è il prefisso telefonico per l’Europa?
Nel panorama geopolitico globale, l'Europa e gli Stati Uniti emergono come protagonisti indiscussi nella promozione e nella difesa dei diritti umani e delle libertà individuali. Questi due attori, pur condividendo da un lato un fondamentale impegno per i valori democratici e la tutela delle prerogative fondamentali dell'umanità, dall’altro lato si differenziano sia per quanto riguarda l’assetto istituzionale, sia sul fronte delle più attuali questioni sociali ed economiche.
Struttura istituzionale e demografia. Un tango a due tra vecchio e nuovo continente.
Gli USA sono un unico stato sovrano, con una stabilità politica ed istituzionale espressione di un governo federale forte, mentre l’Europa è, di fatto, un'unione monetaria ove l’argent prevale sulla fraternitè e non esiste un sentire comune. L’unità politica è una chimera, le istituzioni europee sono percepite come lontane, burocratizzate ed autoreferenziali. L'assenza di una governance politica centrale, poi, non fa altro che alimentare un sentimento euroscettico sempre più diffuso tra la popolazione del vecchio continente.
Attenzione particolare merita poi l’aspetto demografico, l’architrave su cui si reggono gli Stati, oggi più che mai, tema caldo su entrambe le sponde dell’Atlantico. Se gli Stati Uniti confermano un contenuto tasso di crescita, in Europa la natalità è pressoché nulla. Il calo delle nascite e l’aumento delle aspettative di vita si traducono in un significativo invecchiamento della popolazione, con conseguenti problemi sui bilanci statali. Già oggi, il sistema sanitario e pensionistico di molti stati dell’Unione sono fuori controllo e rischiano il collasso nei prossimi anni, salvo interventi impattanti da parte dei governi.
Al di là dei confini: politiche migratorie e gestione dei flussi
La soluzione tentata da Washington e Bruxelles per ovviare a questo problema è stata l’adozione di politiche più distensive per quanto riguarda il contenimento dei flussi migratori. I risultati, inizialmente moderatamente positivi, non hanno però trovato conferma nel lungo periodo.
Negli USA, i tentativi della politica di controllo e indirizzo dei flussi migratori si sono rivelati naif (muro con il Messico) o addirittura inefficaci. In Europa, la situazione è anche peggiore e si stenta a capire che nascondere la “testa sotto la sabbia”, non può essere la soluzione. Ahimè, la storia ci insegna che processi d’integrazione mal riusciti hanno portato ad episodi di violenza intollerabili, ma i governi sembrano avere la memoria corta.
Tuttavia, la realtà del problema persiste, e non è escluso che in futuro la necessità di forza lavoro qualificata possa spingere verso il reclutamento di "immigrati qualificati" direttamente nei loro Paesi di origine.
Capitalismo sperimentale?
Spostando l’attenzione sul piano economico, entrambe le aree operano all’interno di un sistema capitalistico, favorendo la proprietà privata e promuovendo la libertà d’impresa. Tuttavia, negli ultimi anni, una serie di correzioni ha distorto tale sistema, trasformandolo in un ibrido indefinito in cui si sperimentano nuove teorie economiche che oggi appaiono audaci, come la Zero interest-rate policy (ZIRP) e la Modern Monetary Theory (MMT).
La differenza tra i due attori si declina nelle dimensioni e nella struttura: ove in USA si propone un'economia flessibile e adattabile, nella zona euro la politica economica è frutto di compromessi che la rendono confusa e farraginosa. Alla dinamicità e flessibilità del mercato del lavoro statunitense si contrappone un Vecchio Continente che, a 20 anni dall’introduzione dell’Euro, ha visto disilluse le speranze di crescita economica e sociale.
Gli USA possono poi contare su un sistema finanziario integrato e profondo, a differenza dell’Europa, dove manca una controparte paragonabile a Wall Street. Nel contesto globale, la Fed continua a esercitare un'influenza significativa e a guidare le politiche monetarie, avendo il dollaro il ruolo di valuta di riserva mondiale.
Fiscalità e debito pubblico: fino a quando possiamo parlare di debito buono?
Sul piano fiscale, nonostante gli USA possano godere di una maggiore autonomia e discrezionalità rispetto a una zona euro vincolata agli stringenti parametri imposti dai Trattati, si osserva una maggiore somiglianza tra le due regioni.
Entrambe le aree sembrano condividere l’impegno nella lotta ai paradisi fiscali (attraverso l’introduzione di black/white list), nonché al contrasto all’elusione ed evasione delle imposte. Su questo tema l’uso del condizionale è d’obbligo in quanto sia USA che Europa dimenticano di avere al proprio interno Paesi dalla fiscalità agevolata per i fortunati residenti o per le società che vi trasferiscono la sede. Quello che emerge è quindi un quadro che oscilla tra tonalità chiare e scure, evidenziando un sistema che può essere considerato rigido nei confronti dei più deboli e lasco nei confronti dei più forti.
Dopo la crisi da Covid-19, la situazione dei conti pubblici per Stati Uniti ed Europa appare sorprendentemente simile e precaria. Un debito statale USA che sfiora il 100% del PIL si confronta con un 90% medio in Europa. "Fortunatamente" il debito complessivo, considerando anche il debito privato, sale velocemente per tutti (virtuosi inclusi) e si colloca in area 100%.
Il dollaro si conferma miglior attore protagonista.
E l’Euro?
A garantire la stabilità dei conti statunitensi è il ruolo del dollaro come valuta di riserva globale, che conferisce agli Stati Uniti la condizione di un'area monetaria ottimale, prospettiva che non può essere attribuita alla zona euro. Sorge il rischio che i costi connessi alla rinuncia a una politica monetaria e a un tasso di cambio indipendente per gli stati europei, porti l'insostenibilità dell’Unione Economica e Monetaria (UEM).
Per sopperire a questo problema, l’eurozona sta cercando di intraprendere un percorso verso una più profonda integrazione politica ed economica. Tuttavia, la questione della convergenza di opinioni tra gli Stati membri sorge in modo preminente. La presenza di un rischio politico, che talvolta è deliberatamente trascurato, indica un problema di rappresentatività democratica all'interno della discussione sull'integrazione europea.
Quindi, Stati Uniti più ricchi?
Il “sogno americano” che idealizzava un benessere diffuso con un ceto medio in grado di sperimentare livelli di qualità della vita più che soddisfacenti e di risparmiare nella speranza di poter offrire ai giovani una educazione di qualità, negli ultimi anni si è infranto. L’aumento dei costi dei servizi, non accompagnato da paralleli incrementi del reddito disponibile, ha fatto svanire tale prospettiva.
Attualmente, in entrambe le regioni, è evidente una crescente diseguaglianza sociale, accentuata dal boom indiscriminato delle borse, che in alcuni casi ha generato ricchezze multimiliardarie basate su imprese il cui successo non deriva dagli utili, bensì dalla liquidità (QE).
Il “sogno europeo”, se di sogno si può parlare, è stato ancora più breve. Un esempio? Da quando l’Italia è entrata nell’Euro il numero di poveri assoluti è raddoppiato, mentre gli stipendi sono diminuiti del 3% rispetto a 30 anni fa.
Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più” (Romano Prodi)
Purtroppo, tale previsione si è rivelata erronea!
L'Unione Europea, pensata come trampolino per il futuro, ha invece portato ad una realtà di stagnazione, disoccupazione e malcontento per molti cittadini europei. Da ciò deriva un diffuso pessimismo, in netto contrasto con l'ottimismo degli statunitensi (in parte frutto di un’illusione).
Gli Stati Uniti emergono come una nazione più ricca quando si analizzano le macro categorie economiche come il PIL, occupazione e la produttività. Tuttavia, allargando l’osservazione ad altri parametri relativi alla “qualità della vita” emergono significative debolezze. La principale lacuna è rappresentata dalla mancanza di un vero welfare statale, una carenza che alimenta una maggiore propensione al lavoro. La tendenza, che fino a fine degli anni ’70 vedeva una riduzione delle ore lavorate sia in Europa che negli Stati Uniti, si è invertita. Dal 1979, solo il 40% dei lavoratori statunitensi è riuscito a preservare il proprio potere di acquisto, mentre un ulteriore 20% si è impoverito. Questa è la ragione per cui i lavoratori americani necessitano di più anni e ore di lavoro.
Lavoro, debito e prospettive future. Alla fine chi vincerà?
La maggiore propensione al lavoro degli americani non può quindi essere attribuita né a uno stacanovismo eccessivo, né una preferenza sociale, ma piuttosto a una necessità. Dall’altra parte, gli europei optarono inizialmente per il risparmio, per poi ricorrere al debito, un trend che li ha alla fine equiparati ai cugini d’oltre oceano.
Entrambe le aree, quindi, non si stanno arricchendo, bensì impoverendo, consumando il benessere delle generazioni future.
Alla fine chi vincerà? Forse nessuno. La leadership economica attuale degli Stati Uniti non è così forte da superare chiaramente quella europea. Al contempo, l’UE è così divisa e assorbita dai problemi contingenti da non volere nemmeno affrontare la questione. Inoltre, emerge per entrambe le aree un fattore patrimoniale nascosto, rappresentato dal debito, che non può più essere ignorato, e i cui effetti si faranno sentire soprattutto nelle aree in cui il risparmio è contenuto e i consumi privati sono basati su di esso, come nel caso degli USA.
La crescita economica statunitense è mantenuta da una pericolosa montagna di debito estero. Ironicamente è l’Unione Europea, insieme a Cina e Giappone, che continua a prestare denaro agli USA, permettendo alle famiglie di spendere e all’economia di crescere. Tuttavia, sorge la domanda su quanto a lungo ci sarà la disponibilità ad accettare dollari. Prima di adottare completamente gli USA come modello, sarebbe opportuno riflettere sulla debolezza intrinseca di un sistema basato sui consumi finanziati per la quasi totalità attraverso il debito.
Un nuovo ordine all’orizzonte?
Nel medio termine, il quadro appare poco favorevole per entrambe le realtà, con fattori demografici e il trascorrere del tempo che giocano contro di loro. Nuovi poli di potere si stanno già scontrando per l’egemonia mondiale, mentre l’occidente fatica a mantenere una posizione convincente. La sfida non riguarda più solo capitale o tecnologia: la diffusione del sapere contribuisce ad un mondo in continuo cambiamento come confermato dagli eventi politici recenti.
La sensazione comune è che Stati Uniti e Europa siano due “imperi” stanchi, chiusi e invecchiati, pronti a passare il testimone al nuovo ordine emergente rappresentato dai BRICS, mentre si preparano a godersi la pensione.
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