Numero 9 | Gennaio 2022
The Great Reset: a.C(ovid 19) - d.C(ovid 19)
"...ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale, ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura."
– Jack Nicholson alias George Hanson (Easy Rider)
Alghero Ottobre 1541, Carlo V pronuncia il suo “Todos caballeros!”: tutti promossi per non scontentare nessuno! L'espressione nasconde un gusto amaro: se si estendono privilegi senza merito tutto si svilisce. Oggi l’eguaglianza è irrilevanza, si è tutti egualmente irrilevanti. Al cittadino si sostituisce il consumatore che, senza bussola, si muove tra le news e le fake news della rete.
Momenti di cambiamento sono nella storia umana: l’assassinio di Cesare, la diffusione del cristianesimo, la scoperta dell’America, la rivoluzione francese, la rivoluzione industriale…, derivano dalla necessità di dare soluzione a questioni complesse ma ineludibili. Il reset mette in discussione dogmi e vecchie regole, il mondo pare poter cambiare in un’accelerazione senza precedenti.
Ad avviare il processo sono pochi eletti, i migliori, e anche se a guidarlo sono idee illuminate, spesso le stesse vengono trasformate e prese a pretesto per giustificare una subdola volontà di prevaricazione. “Il fine giustifica i mezzi”, ma ancor di più i mezzi con cui si raggiunge il fine lo nobilitano, rendendolo accettato e condiviso.
La necessità dell’eventuale reset odierno parte da scelte lontane, mostratesi col tempo precarie e fragili, a cui già periodicamente si era dovuto porre rimedio e diventate oggi, con la crisi finanziaria del 2008, insostenibili.
Tutto parte dalla dematerializzazione del denaro e dal conseguente sviluppo di un sistema economico/finanziario a debito, idoneo a sostenere la produzione in larga scala (la cui degenerazione ci ha portato dal consumo al consumismo!). Il quadro degli eccessi si autoalimenta senza fine sul nulla, caricando i costi sulle future generazioni.
Prima della Grande Guerra era il Gold standard, le valute erano supportate dall’oro. L’offerta di moneta era conseguente all’incremento della base aurea a garanzia, dunque limitata ed inadatta ad un sistema produttivo che organizzato sulla catena di montaggio (economie di scala), vedeva un’extra produzione che andava necessariamente consumata.
Questo periodo di stabilità venne a cessare quando le necessità belliche portarono ad abbandonare la via dritta per portarci ad accettare il sistema della fiat paper money. La finanza iniziava il suo dominio, si scopriva la bontà ed i vantaggi dei “biglietti alati” trascurandone gli effetti collaterali.
Tra crisi economiche, politiche e guerre questo ri-settaggio ci ha accompagnato fino al 2008, quando una crisi ha portato l’intero sistema al capolinea. Nessuno avrebbe mai creduto che, stante la governance ed i controlli, un debitore blasonato potesse non onorare la parola. La paura si materializzava, si toccava con mano la realtà che vede nel mondo a leva un mondo fragile. A Londra (Stock Exchange) si insegna che: “My Word is my Bond”, questa è la base del mercato.
In quei giorni il sistema rischiava di collassare e dopo aver sacrificato i sacrificabili, si è dovuto globalmente (capitalisti e non) iniziare quell’espansione incontrollata dei deficit pubblici, finanziati con una marea d’obbligazioni per lo più comprati dalle autonome banche centrali a tasso zero o negativo, le cui conseguenze indesiderate dobbiamo ancora scoprire.
Marx aveva visto giusto: “All’antica indipendenza nazionale si sovrapporrà una interdipendenza globale”. La figura centrale di questo nuovo reset (a scapito di: risparmiatori, salariati e pensionati) è la Banca centrale, che non solo ha sviluppato ed attuato la politica dell’Helicopter money, ma ha prestato alla politica i suoi tecnici migliori, quando è parso evidente che la stessa era “in bambola”.
Tuttavia questa entità competente, autonoma e pronta, non pare risposta sufficiente ai problemi di un nuovo mondo trasformato: a livello produttivo dalle nuove tecnologie, ed a livello politico dal sorgere di una Cina contrapposta al declinante Impero statunitense. Si prefigurava la necessità di un nuovo reset che coinvolgesse ideologie, credenze radicate ed ordinamenti giuridici. Il catalist, trovato per velocizzare un processo iniziato tempo fa, è stato la pandemia da COVID 19; si avvia il cambiamento, tutto da vedere il risultato finale, certo è che si apre un periodo caotico nel sistema mondiale.
Le “cambiali mefistofeliche” vanno dunque sostituite, prima che scadano, da nuovi valori. Ecco che il reset di oggi, che si basa in parte su principi suggeriti, fra gli altri, anche dal WEF (World Economic Forum) e mira a ricostruire l'economia in modo sostenibile, inclusivo ed equo. Sarà così? L'idea di aiutarci l'un l'altro, praticare l'amore e la carità è nobile, ma la storia insegna come questi principi siano stati spesso applicati in senso opportunistico.
Il progresso reciproco è il punto focale di questo reset, chiave di attuazione il passaggio da multilateralismo a multistakeholderismo. Il multilateralismo ipotizza che i Paesi lavorino insieme per raggiungere obiettivi comuni e trova realizzazione nell'Onu, entità democratica in quanto riunione di leader democraticamente eletti. Viceversa l’ipotesi multistakeholder implica una rimozione/riduzione della democrazia, mettendo da parte i governi e sostituendoli con stakeholder non eletti - principalmente le aziende - a prendere le decisioni globali.
L'idea del capitalismo degli azionisti vede le aziende non più concentrate a remunerare gli azionisti, ma diventare “custodi della società”. Riunendo il settore privato, i governi e la società civile in una partnership si ha un passaggio di potere dalle istituzioni democratiche alle aziende. "La voce del governo sarebbe una tra le tante, senza essere sempre l'arbitro finale” (Global Redesign Initiative - WEF 2008).
Il mondo post-COVID propone una nuova gerarchia dei valori e si basa sul concetto che nessuno può isolarsi ed agire da solo. I problemi devono essere affrontati con anticipo e solidarietà. Il COVID 19, con il suo senso di paura, offre l'opportunità di reimpostare e rimodellare il mondo in un modo più resiliente, equo e sostenibile. La nuova costruzione si basa su metriche ambientali, sociali e di governance, ovviamente non liberamente scelte ma opportunamente suggerite. Tuttavia mai come oggi la nostra società, presa tra le sue paure, ben si presta ad accettare senza troppi perché, un nuovo ordine “migliore”.
L’ipotesi è un capitalismo indirizzato dai grandi gestori patrimoniali. Assistiamo ad un’evoluzione della finanza, sempre basata sul denaro degli altri, che si ripropone in una nuova forma che si affianca a quella delle mega-banche globali, che non hanno certo sempre brillato per trasparenza e strategia.
Questo grande reset avrà successo? È da vedere. Resta difficile credere che il cambiamento possa essere attuato dai vecchi attori. Coloro che hanno scritto le vecchie regole possono superarle e fornire nuove risposte? Un reset non può non passare per un ricambio degli attori (non protagonisti!). Oggi sul piano economico stiamo ancora sperimentando strade vecchie, anche se declinate in forma moderna (MMT), la monetizzazione surrettizia del debito che tuttavia non è sostenibile. Per tornare alla virtù è necessario un cambiamento. Sarà costoso? Chi pagherà?
Come primo passo l’era DC19 sembra rafforzare nella nostra società il concetto di sharing. Perché avere un oggetto quando il suo uso può essere affittato e condiviso? Il reset tenderebbe ad estendere tale concetto oltre la mobilità veloce. Estremizzando: perché possedere un appartamento quando può essere un servizio offerto? Perché possedere quando si può noleggiare? La proprietà privata ha ancora senso nel new normal? Importante corollario a questo processo di cambiamento è l’attuale tentativo di trasformazione del denaro.
La “merce più scambiata” sta sperimentando un continuo processo di colpevolizzazione a favore di nuovi mezzi di pagamento alternativi, che seppur di moda, sono opachi ed indefiniti. Le Banche Centrali, sempre attente a regolamentare, vietare e controllare inerti, ammiccano. Come sarà il denaro del futuro? Come la tessera fedeltà del supermercato? E chi vedendo gli acquisti dei cittadini/consumatori resisterà, anche arbitrariamente, a schedare e segmentare gli stessi?
Senza nemmeno avvicinarsi a fantasiose teorie, è indubbio che questa nuova normalità genera domande fastidiose ma lecite. Se ogni evento ha un prezzo, cosa rischiamo di perdere nella nuova società post-COVID? Progresso e modernità vogliono sempre dire miglioramento? Chi decide l’eventuale percorso verso questa nuova società? Se una élite traccia la strada al cittadino “normale” cosa resta? Il suo parere è richiesto? O siamo in una realtà oligarchica dove pochi possono decidere superando i diritti civili, i principi democratici e i parlamenti?
Queste sono le domande che si propongono ai teorici del great reset. Un riaggiustamento della governance mondiale è un fenomeno naturale e normale, ma forse il new normal proposto non è la strada giusta, o meglio non è la strada giusta per tutti ma solo per pochi.
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La conversazione tra un Boomer scettico e un Millennial è stata di questo tipo:
- Boomer: “Va bene, ci sono elementi che riconosco come la speculazione e lo short term hype, ma dove sta la tranformative technology”?
- Millennial: “Non pensare solo alle cryptovalute, guarda oltre!”
- Boomer: “Risposta intelligente ma incompleta… spiegami e, se possibile, convincimi.”
Più o meno è così che è nata questa nota interna che abbiamo pensato di condividere. La tematica è piuttosto ampia e relativamente complessa. La nota desidera per ora lanciare il tema, nella consapevolezza che futuri dettagli potrebbero essere necessari (soprattutto perché il Boomer...)
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