Numero 15 | Luglio 2023
De-dollarizzazione: il futuro del sistema
"L’orgoglio precede la caduta."
– Bibbia, Proverbi 16:18
Gli ultimi anni hanno visto il “surgere a potenza” di nuove aree con “valori” diversi da quelli occidentali, pertanto inevitabilmente antagoniste. Oggi le stesse chiedono un generale cambiamento, ma l’attuale “architettura economica” non prevede “co-leader”. Lo scontro è inevitabile e sembra partire dall’architrave su cui si erge il sistema finanziario internazionale: il dollaro statunitense. Ci si interroga sulla sua credibilità e sull’opportunità di continuare a fare affidamento su quest’unica valuta – riserva di valore.
Il dollaro è prossimo a perdere la sua leadership?
La volatilità dei cambi è iniziata dopo la sospensione dell’accordo di Bretton Woods: per mantenere la leadership, gli Usa hanno dovuto avviare una campagna (riuscita) per sostituire l’oro (denaro) con il dollaro (moneta/credito). Oggi, 50 anni dopo, il dollaro è ancora riserva globale e la valuta più scambiata, ma si intravede “l’ombra del dragone”, il renminbi cinese ha raddoppiato in tre anni il suo peso (oggi 7%) e ha spazio! La sua quota è sproporzionatamente piccola rispetto alla sua economia.
Nell’ultimo periodo, si è dibattuto sul concetto “teorico” di de-dollarizzazione. Dagli anni 80 l’occidente ha “finanziarizzato tutto”, si è ricorso al debito pubblico/privato per mantenere un tenore di vita che i numeri (demografici ed economici) mettevano in discussione. Questo boom and bust del ciclo del credito ha proposto un crescendo di momenti critici “coperti” dalla crescita dei bilanci delle banche centrali (Fed in primis).
È lecito ora chiedersi: cos’è la “riserva di valore”? Chi e come onorerà il debito emesso? È giunto il momento di cambiare/diversificare?
Ogni momento di difficoltà riapre il dibattito, ma oggi agli USA viene a mancare la “gamba dei petrodollari" (scelta politica) mentre non possono più proporre una stabilità finanziaria e su un'economia solida a prova di crisi. Il sistema finanziario è debole, come la crisi delle banche regionali ha ricordato, riportando alla mente la Lehman e le successive politiche monetarie “inusuali” adottate. Il sistema finanziario è a prova di dubbio? Il sistema industriale è “libero” da ogni “giogo” esterno? Il dollaro rappresenta una leadership economico/politica/militare indiscussa?
È possibile che la de-dollarizzazione si concretizzi?
In questi anni, la quota globale di dollaro come unità di conto non ha ceduto, si sono proposte alternative, anche espressione di aree libere e sviluppate, tuttavia non del tutto convincenti. Come espresso dall’ex segretario del tesoro degli Stati Uniti Summers:
“L’Europa è un museo, il Giappone una casa di cura e la Cina una prigione”.
Allora tutto bene per gli USA?
Il vero antagonista del dollaro
Il predominio statunitense è, per il momento, al sicuro. Almeno fino a che la Cina, il più temuto e recente tra gli antagonisti, non adotterà un sistema finanziario libero e compiuto, dove il cross del renminbi non sarà sotto l’egida del governo e cesseranno i controlli sui movimenti di capitali. Persistendo questi fattori, anche una co-leadership è utopia.
Più sfumato e critico il confronto sul piano economico, in quanto è:
- anacronistico che gli USA, che hanno dimezzato il loro peso nel PIL mondiale (dal 20% BW al 10%), vedano il dollaro regolare 2/3 di tutte le transazioni;
- critica la posizione finanziaria del Paese: pur accettando che la valuta di riserva obblighi ad un disavanzo delle partite correnti, la somma di debito interno/esterno cumulato pone interrogativi;
- economicamente insensato e politicamente inaccettabile per i Paesi ad economia crescente subire Il “giogo” delle scelte della politica monetaria statunitense… ma forse ancora deve venire un novello Alessandro a disfare il “nodo di Gordio”.
Oggi e domani, più che da un pericolo esterno, il dollaro deve temere un fronte interno. Il suo destino è nelle mani dei suo cittadini. Errori politico/militari o tensioni sociali interne potrebbero minarne la credibilità.
Se deficit e debito salissero a livelli incontrollabili per il consenso politico e se il mondo percepisse che chi emette abbia abbandonato il suo impegno a riserva di valore, la fiducia potrebbe venir meno.
Se venisse accettato e sviluppato il processo di monetizzazione, il declino della moneta potrebbe essere irreversibile.
Le possibilità di un futuro economicamente incerto
Se un ritorno del dollaro diventasse un movimento profondo, nell’intenzione di scaricare i problemi sugli altri, potremmo avere il punto di svolta, il cambiamento del paradigma.
Parimenti una fase repressiva in Cina, una guerra verso un vicino ribelle o l’adozione di politiche economiche di chiusura (logiche e legittime in un paese comunista) potrebbero allontanare per anni ogni velleità cinese.
Se pare prematura una sostituzione ex abrupto del dollaro, il sorgere di alleanze contrapposte rende plausibile un graduale cambiamento verso un sistema almeno bipolare. Si prospetta una fase di incertezza su un pilastro dell’economia globale, l’attenzione deve essere pronta.
Esisterebbe invero una soluzione, difficilmente realizzabile e politicamente inapplicabile: il ritorno alla “storica e vera riserva di valore”. Ma mai dire mai! Sarebbe un ritorno al passato con conseguenze sulla crescita pesanti, il mondo passerebbe infatti dall’economia dell’abbondanza all’economia dell’abbastanza. L’idea può sembrare utopistica, eppure la tesaurizzazione di metallo da parte di Cina, India e Russia rende tale ipotesi almeno da considerare. Una moneta di riserva rappresentativa di “grandi paesi” e supportata dall’oro sarebbe un’irresistibile alternativa al fiat US dollar.
Siamo in una fase di “confronto” globale che coinvolgerà anche l’idea di riserva di valore. Si porranno inevitabili sfide e se un ritorno al passato può essere un vero azzardo, non è da escludere una corsa verso il futuro…blockchain e Bitcoin sono già una realtà pronta.
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Bloomberg ha recentemente pubblicato un grafico piuttosto “seducente” e di sicuro richiamo. Per la prima volta dall’inizio degli anni ’90, il valore delle esportazioni messicane verso gli Stati Uniti starebbe per superare quello delle esportazioni cinesi. Un bel successo per le politiche del cosiddetto “Near-Shoring” e una conferma delle tendenze verso la deglobalizzazione…
…ogni tanto però, la realtà è un po’ più complessa.
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